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94 | saggio critico sul petrarca |
sostanziale della canzone è il paragone. Il poeta è attirato fuori verso la natura, come ape verso il fiore, vi si indugia, vi si diletta; diresti che il suo dolore è un pretesto per descrivere ciò che si passa intorno a lui. Invano gitta le alte grida:
Perché di e notte gli occhi miei son molli? |
Sentite che quegli occhi debbono pure in qualche momento essere asciutti, proprio in quel momento che li dice molli, poiché, a veder con quanta compiacenza vi pone innanzi la bellezza di quegli spettacoli, ha ben l’aria di un uomo che, abbattutosi a una bella vista, si asciuga gli occhi e guarda. Il suo dolore è sincero, ma è distratto e raddolcito. Ond’è che questa canzone è rimasta celebre, non come effusione di dolore, ma come tessuto di vaghissime descrizioni. Quella soprattutto della vecchiarella pellegrina, e l’altra del pastore sono per grazia e semplicitá ciò che di meglio si trova nella poesia italiana:
Nella stagion che ’l ciel rapido inchina Verso occidente, e che ’l di nostro vola A gente che di lá forse l’aspetta; Veggendosi in lontan paese sola, La stanca vecchierella pellegrina Raddoppia i passi, e più e piú s’affretta; E poi cosí soletta, Al fin di sua giornata Talora è consolata D’alcun breve riposo, ov’ella obblia La noia e ’l mal della passata via. |
E stanza terza:
Quando vede ’l pastor calare i raggi Del gran pianeta al nido ov’egli alberga, E ’mbrunir le contrade d’oriente. Drizzasi in piedi, e con l’usata verga, Lassando l’erba e le fontane e i faggi, |