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v. la forma petrarchesca | 95 |
Move la schiera sua soavemente; Poi lontan dalla gente, O casetta o spelunca Di verdi frondi ingiunca: Ivi senza pensier s’adagia e dorme. |
Questa specie di dolore estetico, che si riposa dall’emozione nell’immagine, è manifesto soprattutto dove il poeta si rappresenta Laura che piange, non certo di gioia. Laura piange ed amaramente; cosa pensa il poeta? Il poeta pensa: — Quanto son belle quelle lacrime! il suo volto è smorto e pallido; ma in quel pallore quanta grazia! è una «gentile pietá», un dolore accompagnato con grazia. I suoi lamenti sono amari: ma quanta dolcezza in quelle querele! — . Nel suo entusiasmo per la nova bellezza di Laura, il poeta invita la natura a contemplarla. Il cielo, innamorato di quella vista, si fa sereno; l’aria, stemprata di dolcezza, iesta immobile, intenta allo spettacolo: non si vede pure una foglia muoversi in ramo:
L’atto d’ogni gentil pietate adorno, E ’l dolce amaro lamentar ch’i’ udiva, Facean dubbiar se mortai donna o diva Fosse che ’l ciel rasserenava intorno... Ed era ’l cielo all’armonia si ’ntento, Che non si vedea ’n ramo mover foglia; Tanta dolcezza avea pien l’aere e ’l vento... Né si pietose e si dolci parole S’udiron mai, né lagrime si belle Di si begli occhi uscir mai vide il sole. |
È evidente che il poeta, in luogo di concentrarsi, guarda attorno; in luogo d’alzar la natura a sentimento, condensa il sentimento in natura. Il sole, testimonio taciturno della storia umana, il sole che non aveva ancora veduto da si begli occhi uscir lacrime si belle, ti presenta un’immagine pomposa, che dá a quelle lacrime magnifiche proporzioni; il poeta obblia i