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i08 | saggio critico sul petrarca |
fatale, fra il senso e la ragione. Ed ecco mettere il capo fuori la personificazione, inevitabile, una volta che si ha a fare col generale e l’astratto. I due pensieri che giostrano al di dentro
E temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda. Poi che fia l’alma delle membra ignuda, Non può questo desio piú venir seco. Ma se ’1 Latino e ’l Greco Parlan di me dopo la morte, è un vento: Cnd’io, perché pavento Adunar sempre quel ch’un’ora sgombre, Vorre’ il vero abbracciar, lassando l’ombre. Ma quell’altro voler, di ch’i’ son pieno. Quanti press’a lui nascon par ch’aduggc; E parte il tempo fugge Che scrivendo d’altrui, di me non calme; E ‘l lume de’ begli occhi, che mi strugge Soavemente al suo caldo sereno, Mi ritien con un freno Contra cui nullo ingegno o forza valme. Che giova dunque perché tutta spalme La mia barchetta, poi che ’n fra gli scogli E ritenuta ancor da ta’ duo nodi? Tu che dagli altri, che ’n diversi modi Legano T mondo, in tutto mi disciogli, Signor mio, che non togli Ornai dal volto mio questa vergogna? Ch’a guisa d’uom che sogna, Aver la morte innanzi gli occhi parme; E vorrei far difesa, e non ho l’arme. Quel ch’i’ fo, veggio; e non m’inganna il vero Mal conosciuto, anzi mi sforza Amore, Che la strada d’onore Mai non lassa seguir, chi troppo il crede; E sento ad or ad or venirmi al core Un leggiadro disdegno, aspro e severo, Ch’ogni occulto penserò Tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede: Che mortai cosa amar con tanta fede. Quanta a Dio sol per debito conviensi. Piú si disdice a chi piú pregio brama. E questo ad alta voce anco richiama La ragione sviata dietro ai sensi: Ma perché l’oda, e pensi Tornare, il mal costume oltre la spigne, Ed agli occhi dipigne Quella che sol per farmi morir nacque, Perch’a me troppo ed a sé stessa piacque. |