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vii. situazioni petrarchesche | i33 |
Nella terza stanza, accesasi l’immaginazione, il godimento diviene dolcezza e piacere; la visione intellettuale si trasforma in sentimento amoroso. È uno slancio lirico ornato da’ fiori dell’immaginazione, un’energia di desiderio temperata dalla grazia, la dolcezza musicale del Petrarca congiunta con una forza d’espressione e di sentimento rara. Il poeta raccoglie tutte le felicitá del mondo, per gittarle giú, presto a cangiarle «ad una rivolta d’occhi». Qui sei nel sublime, quando sopraggiugne un paragone, che ti gitta nel grazioso:
Né mai stato gioioso Amor o la volubile Fortuna Dieder a chi piú fur nel mondo amici, Ch’i’ noi cangiassi ad una Rivolta d’occhi, ond’ogni mio riposo Vien, com’ogni arbor vien da sue radici. |
Nell’obblio dell’amore, parla a quegli occhi, li accarezza de’ piú gentili epiteti, uno e poi un altro, in sino a che gliene viene un terzo, che per novitá d’uso e costruzione testimonia l’energia ed il foco dell’anima che lo andava cercando:
Vaghe faville, angeliche, beatrici Della mia vita, ove ’l piacer s’accende Che dolcemente mi consuma e strugge. |
E si profonda cosí in questa ebbrezza, che dimentica l’universo e sé stesso. Questa consumazione di sé e del mondo nell’amata è sublime in sé, ma non per il Petrarca, maestro di grazia e di bellezza; il quale v’introduce un amabile paragone, un elogio ed una contemplazione di quegli occhi in mezzo all’impressione che ne prova, e usa cosí la molle melodia del verso, che attenua ciò che di troppo energico è nel sentimento. Lo diresti un fabbro, che rintuzza il taglio del ferro; e quanto gli toglie di forza, e piú gli aggiunge di bellezza:
Come sparisce e fugge Ogni altro lume dove ’l vostro splende, Cosi dello mio core, |