Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/169

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viii. situazioni petrarchesche i63

istinto ci tira cosí su, quando siamo lontani da un caro oggetto. Ci è il bisogno confuso d’ajutare l’immaginazione, gittarsi col pensiero in sino ad esso per l’aria vana. Vagando in una vista infinita, stanchiamo l’occhio e il pensiero verso colá dove ci figuriamo l’oggetto. Gioja acre, congiunta con ineffabile tenerezza, perché lá sentiamo ancora piú dolorosamente la lontananza, e non possiamo senza lacrime veder quei luoghi, o piuttosto le ombre di quei luoghi, che ci svegliano tante memorie. Come nell’ordine morale ci sono certi stati dell’anima concitati, cosí nell’ordine fisico ci sono certi luoghi che si possono chiamare le passioni della natura. Di tal sorta è un’alta cima, a cui non ci arrampichiamo senza sentirci giá battere il cuore presago delle prossime emozioni. Il poeta qui giunge al sublime senza cercarlo, un sublime di natura e d’anima, offrendoti insieme con l’immensitá della distanza un’immensitá di dolore:
                                         Ove d’altra montagna ombra non tocchi,
Verso ’l maggil1 piú spedito giogo,
Tirar mi suol un desiderio intenso:
Indi i miei danni a misurar con gli occhi
Comincio, e intanto lagrimando sfogo
Di dolorosa nebbia il cor condenso,
Allor ch’i’ miro e penso,
Quanta aria dal bel viso mi diparte.
Che sempre m’è si presso e si lontano.
     
«Si presso e si lontano!» L’errore ed il vero scoppiano l’uno sull’altro. Altrove disse (canz. III):
                                         Quante montagne ed acque,
Quanto mar, quanti fiumi
M’ascondon que’ duo lumi!
     

Lá dá nel tenero: ina qui «quant’aria» è sublime, come sublime è quel «misurar con gli occhi i miei danni»: sono impressioni intere, gagliarde, subitanee, scompagnate da ana-