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i72 saggio critico sul petrarca


É un grido che scoppia subitaneo, come un tuono, senza che si spieghi o si prepari il passaggio. Se il poeta avesse potuto spiegarselo, non sarebbe stato «carco d’obblio» e ci avrebbe regalato un sublime rettorico. Descrive fin che può: in sino a che soverchiato e sbigottito, prorompe in un grido. Cosa è stato? Solo dopo si può raccogliere, riunire alla confusa e senza analisi gli oggetti, e dire:

                                    Cosi carco d’obblio
Il divin portamento
E ’l volto e le parole e ’l dolce riso
M’aveano, e si diviso
Dall’immagine vera,
Ch’i’ dicea sospirando:
Qui come venn’io, o quando?
Credendo esser in Ciel, non lá dov’era.
     

Analizza i fiori; Laura rimane senz’analisi, e s’india come Beatrice o Margherita, in mezzo agli angeli; l’obblio del poeta è tale che quando estatico si riscuote, è il suo sogno che gli pare realtá, ed è la realtá che gli pare un sogno, e si domanda con stupore e dolore: «Qui come venn’io, o quando?». Anche uscito dallo stato di fantasia, anche quando può guardarsi intorno e veder gli oggetti, rimane per un momento incredulo, gli pare ancora d’essere in cielo. Ma quando dall’alto delle sue immaginazioni si trova fra l’erba, ebbene, no, non si lamenta, non ti fa sentir l’oimé del disinganno, si è avvezzo a contentarsi di godere in immaginazione; e questa volta la sua fantasia è stata tanto durabile, ha goduto fuor del costume cosí lungo tempo e senza alcuno interrompimento, che benedice a quei luoghi ed assicura, con la bonaria semplicitá d’un amabile fanciullo, che lá solo trova la sua pace:

                                    Da indi in qua mi piace
Quest’erba si, ch’altrove non ho pace.
     

Vi giunge tristo; se ne va consolato. Qual’è la sua buona ventura? un piacere immaginario e che sa immaginario. Nell’altra