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IX

MORTE DI LAURA


Nel Canzoniere in vita di Madonna Laura sentite, a volta a volta, alcun che di stanco, un contenuto che va invecchiando, e l’anima che invecchia seco. Il contenuto è una ripetizione sonnolenta degli stessi concetti e delle stesse forme; e l’anima, non che generar nuove idee, non sa neppure le antiche rinnovare e trasformare, sicché le stagnano in lei come in una morta palude. In mezzo a poesie piene di vita incontri giá il petrarchismo, cioè il cadavere del Petrarca, il poeta che imita sé stesso nello stesso modo che fecero i suoi imitatori. Ha innanzi idee logore da lui stesso, alle quali non prende piú interesse. La sventura ha rinnovato quel contenuto, ha ringiovanita quell’anima. Perché, se la sventura spesso genera l’umor nero, lo sbadiglio della noja, il vuoto del cuore, un’anticipata vecchiezza, nelle anime poetiche è una crisi salutare che le ritempra, le spigra, raduna tutte le sue potenze in un sol punto, opera come la passione; ne nasce una concentrazione ed accrescimento di forze.

La morte di Laura pose fine a quel va e vieni, a quella dispersione ed indecisione di forze, che abbiamo notato nel Petrarca. Mezzo tra il mondo e la solitudine, tra Laura e Dio, tra il politico, il letterato, il cortigiano e il poeta, tra l’amore platonico e il sensuale, tra volere e non volere, tra la riflessione e l’immaginazione, tra l’entusiasmo e la depressione; tutti questi ondeggiamenti sparirono, e la natura trionfò: vale a dire, quella sua cotal disposizione alla malinconia, al ritiro ed al fan-