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i76 | saggio critico sul petrarca |
tasticare. Entrato e rimasto nella sua natura, vi trova il suo centro ed il suo equilibrio; le diverse forze, in luogo di frapporsi e turbarsi, cospirano amicamente; sopratutto non osservi piú quell’intromettersi della riflessione, che guasta con sottigliezze e freddure i piú bei lavori della sua immaginazione.
Il poeta giungeva a quell’etá equivoca della vita, in cui l’uomo con le cure della persona cerca invano di palliare a sé ed agli altri il segreto che s’è fatto via nella coscienza:
Dicemi spesso il mio fidato speglio. L’animo stanco e la cangiata scorza E la scemata mia destrezza e forza: Non ti nasconder piú; tu se’ pur veglio. |
Sono quattro versi ammirabili; ed a nessuno sfuggirá l’evidenza di quel «piú» e di quel «pur»; la parola vecchio, quanto piú temuta e presente all’animo, tanto meno pronunziata, eccola al fine sul labbro.
Sazio di corti, di popoli, d’onori, di fama, il mondo a poco a poco gli divenne insipido; nel suo dolore sentite non pure la morte di Laura, ma la morte delle passioni, e quello che chiamasi il disinganno e il disgusto della vita. Dove gli altri, affranti dalle lunghe agitazioni, riparavano nei monasteri e cercavano calma nella preghiera, egli cerca rifugio ne’ campi, e si consola fantasticando e poetando.
Quella vena di tenerezza, di cui sentite fra le maggiori distrazioni e nelle poesie di piú diverso genere i moti soavi, sgorga ora liberamente. L’anima trabocca da un lato con forze convergenti.
Le contraddizioni durate finora con tanta persistenza sono sciolte. Amare o lasciar Laura, amare cosí o cosí, errare fra il reale e l’immaginario, tutto questo non ha piú senso. Tutto cangia, il poeta, la natura e Laura. Io posso riassumere la nuova situazione in due parole: è una tomba, che a poco a poco si trasforma in un paradiso; è la morte, dal cui seno spunta la vita nuova.
Quando Laura mori, il poeta trova vasi a Verona; e nel