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i82 | saggio critico sul petrarca |
L’interesse di questi sonetti è appunto in queste circostanze. Giá sinistri sentimenti tormentavano il poeta:
Deposta avea l’usata leggiadria. Le perle e le ghirlande e i panni allegri E ’l riso e ’l canto e ’l parlar dolce umano. Cosí in dubbio lasciai la vita mia: Or tristi augurii e sogni e pensier negri Mi danno assalto; e piaccia a Dio che ’nvano. |
Fra questi sogni ce n’è uno, misera ed orribil visione!
Non ti sovven di quell’ultima sera, Dic’ella, ch’i’ lasciai gli occhi tuoi molli, E sforzata dal tempo me n’andai? I’ non tei potei dir allor né volli. Or tei dico per cosa esperta e vera: Non sperar di vedermi in terra mai. |
Aspettavasi una grave sventura, come chi, nel giorno in cui suol venir la febbre, se la senta giá addosso prima (son. LVI):
Qual ha giá i nervi e i polsi e i pensieri egri, Cui domestica febbre assalir deve, Tal mi sentia... |
Ed ora ch’ella è morta, corre spesso col pensiero all’ultima sera, che le disse addio. Ricorda quei presentimenti; s’immaginava una sventura, ma non la morte di lei; e pure tutto glielo diceva, piú che altro lo sguardo, e si accusa e si chiama stolto e cieco (son. LVII):
Ma ’nnanzi agli occhi m’era posto un velo, Che mi fea non veder quel ch’i’ vedea, Per far mia vita subito piú trista. |
Carnefice di sé stesso, rimemora tanti particolari strazianti, a cui allora non avea posto mente, e se ne pasce e se ne