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ix. morte di laura | i83 |
strugge. Laura era amorosa piú dell’usato, come presentisse di non doverlo piú rivedere; ardevano tutti e due; e pure in tanta dolcezza il poeta era «pensoso e tristo»; gli occhi non sazii, sempre in quegli occhi; non sapea risolversi a partire, e mentre il piè si volgea, «a mover tardo», Laura lo guardava con occhio «non contento», e parea volesse dirgli ancora qualche cosa. Non capi; e pure era si chiaro «agli atti, alle parole, al viso, ai panni», alla sua mestizia, a quegli occhi «sfavillanti oltre lor modo»; tutto gli dicea:
Qui mai piú no, ma rivedrenne altrove. |
Se il Petrarca avesse rappresentato l’amore con questa pienezza di particolari, avrebbe cansate le sottigliezze e le freddure; il dolore lo ha meglio ispirato. Quell’ultima sera è descritta con la solennitá e il raccoglimento d’una tristezza, per entro alla quale s’insinua verso l’ultimo un movimento di tenerezza, che la scioglie nel pianto (son. XLVI):
Mente mia, che presaga de’ tuoi danni, Al tempo lieto giá pensosa e trista, Si intentamente nell’amata vista Requie cercavi de’ futuri affanni; Agli atti, alle parole, al viso, ai panni. Alla nova pietá con dolor mista, Potei ben dir, se del tutto eri avvista: Quest’è l’ultimo di de’ miei dolci anni. Qual dolcezza fu quella, o miser’alma! Come ardevamo in quel punto ch’i’ vidi Gli occhi i quai non devea riveder mai! |
E par che voglia divorarseli: di tanti, di si amorosi epiteti