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i84 | saggio critico sul petrarca |
gli assale; divorarseli, mentr’essi par che gli dican addio, e con espressioni si tenere, con la familiaritá di persona vivuta lungo tempo seco. Ne nasce un movimento brusco, un impeto di stizza, e di dispetto contro sé stesso, e con tanto piú affetto un ritorno a quegli occhi, di cui non si sa saziare. Le ultime parole di addio sono affettuosissime. L’amore di Laura, trattenuto fino a quel tempo, trabocca nel punto stesso che la mano del destino s’aggrava sulla insperata felicitá e li divide per sempre:
Quel vago, dolce, caro, onesto sguardo Dir parea: to’ di me quel che tu puoi; Che mai pili qui non mi vedrai da poi Ch’arai quinci ’l piè mosso a mover tardo. Intelletto veloce piú che pardo, Pigro in antiveder i dolor tuoi, Come non vedestú negli occhi suoi. Quel che ved’ora, ond’io mi struggo ed ardo? Taciti, sfavillando oltra lor modo, Dicean: o lumi amici, che gran tempo, Con tal dolcezza feste di noi specchi. Il Ciel n’aspetta; a voi parrá per tempo: Ma chi ne strinse qui, dissolve il nodo; E ’l vostro, per farv’ira, vuol che ’nvecchi. |
Questo dolore, gustato con una specie di voluttá, raramente puoi chiamarlo abituale e letterario; anzi quanto piú il poeta ci s’immerge, piú l’aria si rinnova: voglio dire, piú il cerchio delle idee e dei sentimenti s’allarga. È un dolore fecondo, che stuzzica l’anima e tutto ringiovanisce intorno a lei, le dá quel che dicesi la vista del genio, quel veder le cose da altri punti e con altri colori. E forse questo ringiovanirsi del mondo innanzi all’anima attonita e compiaciuta è il segreto di quel desiderio, col quale ella corre dietro al proprio dolore e lo nutre e se lo tien caro: diresti quasi che non ne vorrebbe restar senza. Il Petrarca finisce col tuffarvisi entro e compiacersene, farsene bello, sentirne bisogno, come d’un compagno. Fino il desiderio della morte si affaccia con immagini che chiameresti quasi voluttuose. Eccolo li in-