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ix. morte di laura i85


nanzi al sepolcro di Laura, e guardar con invidia quella terra che possiede il bel corpo, e pregarla che ricetti anche lui, e chiamare l’amata co’ nomi piò teneri, con l’ardore d’innamorato che la tenga tra le braccia; ed è l’abbracciamento della morte, lá, sotterra, l’uno accanto all’altro (son. VIII):

                                    E tu che copri e guardi ed hai or teco,
Felice terra, quel bel viso umano;
     Me dove lasci, sconsolato e cieco.
Poscia che ’l dolce ed amoroso e piano
Lume degli occhi miei non è piú meco?
     

Un dolore pieno di tanta espansione, cosí facile a sfogarsi e raddolcirsi in lamenti, è ciò che dá un significato al mondo; tolto lui, cosa resta? Solitudine e deserto, solitudine nel mondo, solitudine nell’anima. Se il mondo vive ancora, gli è che è pieno del suo dolore. Se tutto è animato, se tutto è poetico, gli è che in tutto trova il suo dolore. Una volta la natura era l’eco e il riflesso di Laura, illuminata dalla sua presenza; Laura è morta, la natura muore con lei; ma quando è stata mai si bella? Appunto perché gli sembra morta, ha un significato, una nuova vita estetica, nuove forme, fresca e giovane, come se fosse rinata. La sensibilitá del poeta, divenuta piú squisita, lo rende facile alle impressioni e alle emozioni. Mai la natura non gli sembrò cosí bella, che ora che non è piú bella per lui; e descrive quelle bellezze, come se volesse annoverare ad una ad una tutte le sue perdite. Nella sua felicitá non ha mai cantato con tanta grazia il ritorno della primavera, come ora che per lui non c’è piú primavera (son. XLII):

                                         Zefiro torna, e ’l bel tempo rimena,
E i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia,
E garrir Progne e pianger Filomena,
E primavera candida e vermiglia.
     Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
L’aria e l’acqua e la terra é d’amor piena;
Ogni animai d’amar si riconsiglia.