Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/194

Da Wikisource.
i88 saggio critico sul petrarca


Materia principale di questo lamento è la caducitá e la varietá delle cose umane, che torna sempre innanzi al poeta. Non giá che si alzi alla civile concezione d’un dolore universale, nel quale trasfiguri e plachi il proprio dolore. La poesia è sempre un lamento elegiaco, il cui centro è la sua persona e la sua sventura, ma intorno a cui comparisce in forma di sentenze, a guisa di coro lacrimoso, il genere umano. Sentenze badiali, ammesse da tutti, ma di cui si acquista il sentimento vivo ne’ momenti di passione o di sventura. Il pensiero, per esempio, della mortalitá di tutte le creature non ci agita, non ci atterrisce, perché rimane una pura conoscenza, senza immediato rapporto col nostro essere; ma se la morte percuote uno de’ nostri cari, sentiamo la morte, e ce ne maravigliamo, come se non lo avessimo mai saputo. Le idee piú comuni sono qui vestite di maraviglia e di commozione:

                                    Veramente siam noi polvere ed ombra;
Veramente la voglia è cieca e ’ngorda;
Veramente fallace è la speranza.
     
Quel «veramente», ripetuto con la terribile solennitá del «per me si va», vuol dire: — Ora so, ora che ne ho fatto la prova — . Di tal sorta sono ancora i due celebri versi:
                                         La vita fugge e non s’arresta un’ora;
E la morte vien dietro a gran giornate.
     
L’immagine della vita in fuga con la morte dietro a gran corsa mostra con quanta vivacitá s’è presentato questo luogo comune, quasi fosse la prima impressione dell’anima, stupefatta di non averci pensato prima. Se il poeta guarda gli altri, gli è per guardare ivi sé stesso, per trovarci similitudini col proprio stato e per conchiuder sempre: — Il piú infelice son io — ; come nel sonetto:
                                    Vago augelletto, che cantando vai.