Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/207

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x. trasfigurazione di laura 20i


                                         O che dolci accoglienze e caste e pie!
E come intentamente ascolta e nota
La lunga istoria delle pene mie!
     Poi che ’l di chiaro par che la percota,
Tornasi al ciel, che sa tutte le vie,
Umida gli occhi e l’una e l’altra gota.
     
Un canto lamentevole d’uccello, un mover di fronda, un mormorar d’onda operano sull’immaginazione malinconica non meno che il silenzio e le ombre. Quei placidi moti, quei flebili susurri, che sono come le mezze tinte della natura, ti tolgono per forza dalla chiarezza prosaica dell’esistenza, e ti attirano nel regno de’ misteri, al di sopra del finito. E allora che comparisce Laura (son. XI):
                                         Se lamentar augelli, o verdi fronde
Mover soavemente a l’aura estiva,
O roco mormorar di lucid’onde
S’oda d’una fiorita e fresca riva.
     Lá ’v’io seggia d’amor pensoso, e scriva;
Lei che ’l Ciel ne mostrò, terra n’asconde,
Veggio ed odo ed intendo, ch’ancor viva
Di si lontano a’ sospir miei risponde.
     
Queste circostanze, che precedono la visione, non sono descritte; la figura fa obliare il paesaggio, schizzato appena. Eppure, meno il poeta descrive, e piú fissa gli oggetti. I quali, quando sono materia indifferente, che il poeta contempli con l’occhialino, di rado rimangono nella memoria. Qui si congiungono immediatamente con l’anima, prima che abbiano tempo di spiegarsi nelle loro parti, appariscono da un punto solo, da quel punto che ha operato nell’immaginazione, appariscono e passano, ma lasciando di sé un lungo suono nell’anima. Né c’è cosí bella descrizione presso il Petrarca, la quale ne’ suoi ricchi colori non sembri povera allato a questi mormorii e lamenti, a queste note patetiche della natura, indicate appena, dove par che Laura stia nascosta ed alle prime armonie ne balzi fuori. È reale tutto ciò che è legato col nostro essere; il resto, esista o