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xi. dissoluzione di laura | 2ii |
chiamare quasi il condimento dell’amore. Morta Laura, quel desiderio comincia a farsi via piú risolutamente, ajutato da Laura stessa in vita con le sue arti leggiadre (son. XXI, XXII), in morte nelle sue apparizioni co’ suoi consigli (son. XVII, XVIII, LXIX):
Fedel mio caro, assai di te mi dole; Ma pur per nostro ben dura ti fui: Dice, e cos’altre d’arrestar il Sole. |
Nutrito da Laura, quel desiderio va a volgersi contro Laura e contro l’amore: il passato apparisce vanitá e peccato. In questa specie di ribellione contro l’antico uomo, il poeta mostra una certa caldezza (son. LI):
I di miei piú leggier che nessun cervo, Fuggir com’ombra; e non vider piú bene Ch’un batter d’occhio e poche ore serene, Ch’amare e dolci nella mente servo. Misero mondo, instabile e protervo! Del tutto è cieco chi ’n te pon sua spene: Che ’n te mi fu ’1 cor tolto; ed or sei tene Tal ch’è giá terra e non giunge osso a nervo. |
La fuga degli anni considerata in sé è un sublime negativo; ma in rispetto all’individuo lo sparir delle cose andate, con la memoria di esse ancor viva, è un’immagine piena di malinconia. Quest’attenenza col proprio essere, qpesta squisita sensibilitá, che ci rende si vivace il mondo esterno e ce lo fa riempiere di noi stessi, è notabilmente diminuita nel nostro poeta. E può ora nominar Laura senza che il cuore piú batta: può riandare i suoi sentimenti senza prendervi parte; può fare anche delle osservazioni sul proprio stato, come un medico sul suo infermo. Una volta nota che, se è libero dal giogo d’amore, non è proprio merito, ma caso, la morte di Laura; e che perciò non si può chiamar virtú (son. LXIV):
Non a caso è virtute, anzi è bell’arte. |