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XI

DISSOLUZIONE DI LAURA


Ora assistiamo alla decadenza del Petrarca. La sua storia amorosa gli si presenta come la storia d’un altro, che egli considera con l’occhio tranquillo dello spettatore. Tutto ciò che finora ha guardato come cosa sua, guarda come la storia naturale del genere umano. Certo, c’è qui un progresso, che non si è compreso mai cosí bene, come ai nostri tempi. Questa maniera di poesia ha nel Leopardi la sua piú energica espressione. Sentire nel proprio dolore il dolore di tutti, guardare nel proprio destino il destino delle umane generazioni, è la poesia all’ultima potenza, che, senza perdere d’intensitá, guadagna d’estensione. Ma il poeta vi giunge stanco e vuoto. Per alzarsi da una poesia meramente subbiettiva a questa obbiettivitá si richiede in lui una trasformazione interiore, un’anima forte ancora abbastanza per rinnovarsi e vivere un’altra vita, nella quale si sentisse ancor calda l’antica. Ma è un domandar troppo all’individuo; il poeta è sul declinare. Le antiche passioni sono ottuse e logore; e di nuove non ce n’è. Quel generalizzare è il processo della morte; Laura vacilla e muore, vale a dire si confonde con la generalitá; i sentimenti raffreddandosi si sciolgono in idee; non ci è formazione, ma dissoluzione.

In tutta la sua vita ebbe il Petrarca un certo desiderio di allontanarsi da Laura e pensare a Dio; di che rimangono vestigi in parecchi sonetti. Ma quel desiderio non serve che a rendere, per il contrasto, piú visibile la passione: si può