Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/219

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xi. dissoluzione di laura 2i3


                                         Omai son stanco, e mia vita riprendo
Di tanto error, che di virtute il seme
Ha quasi spento; e le mie parti estreme,
Alto Dio, a te devotamente rendo.
     Pentito e tristo de’ miei si spesi anni;
Che spender si doveano in miglior uso,
In cercar pace ed in fuggir affanni.
     Signor, che in questo career m’hai rinchiuso,
Trammene salvo dagli eterni danni;
Ch’io conosco ’l mio fallo, e non lo scuso.
     
«Omai son stanco!», e sentite la stanchezza in questo sonetto, naturale ma debole. La qual fiacchezza è alquanto palliata nel seguente;
                                         I’ vo piangendo i miei passati tempi
I quai posi in amar cosa mortale...
     

Il poeta ne ha un po’ studiato l’acconciatura e l’abbigliamento. Epiteti a due a due, partizioni simmetriche, antitesi ben collocate, armonia grave e sostenuta gli danno un aspetto di maestá rispondente al nobil soggetto. È una poesia uscita dalla testa e dalle regole, mirabile di artificio tecnico. L’architettura è d’una semplicitá decorosa; ma il tempio è vóto e freddo1. Dov’è Laura? Il vero paradiso del poeta è abitato da Laura, e senza di lei non ride alla immaginazione. Invano ei



  1.                                          I’ vo piangendo i miei passati tempi
    I quai posi in amar cosa mortale.
    Senza levarmi a volo, avend’io l’ale
    Ter dar forse di me non bassi esempi.
         Tu, che vedi i miei mali indegni ed empi.
    Re del cielo, invisibile, immortale,
    Soccorri all’alma disviata e frale,
    E ’1 suo difetto di tua grazia adempí:
         Si che, s’io vissi in guerra ed in tempesta.
    Mora in pace ed in porto; e se la stanza
    Fu vana, almen sia la partita onesta.
         A quel poco di ri ver che m’avanza
    Ed al morir degni esser tua man presta.
    Tu sai ben che ’n altrui non ho speranza.