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2i4 | saggio critico sul petrarca |
ci mette la Vergine; invano la gratifica de’ piú gentili e cari epiteti che la pietá de’ devoti abbia saputo inventare. Quella sua litania, che ha nome canzone, abbondante di contrapposti e di pensieri ingegnosi, ma povera d’immagini e d’affetto, vorrebbe essere un inno, e casca nell’elegia; vorrebbe spaziare ne’ cieli, e rimane nella terra. E questo, che alcuni reputano biasimo, questo è il suo pregio. In quell’ultima parte dell’etá il poeta non ha le ale, quantunque sei creda, non ha le ale per levarsi al cielo; e dopo vana ostentazione di forza cede al fato, voglio dire alla sua natura, e s’intenerisce, e solo nel suo intenerirsi racquista un po’ l’antica vena. Parlando alla Vergine, s’incontra in Laura; e questa, «poca mortai terra caduca», è pur quella che qui l’ispira e sveglia nel suo cuore gli usati palpiti: altera immagine che, accusata e repulsa, gli sta pure innanzi e gli comanda. Supplicando con trepidazione alla Vergine, come per cacciar col suo nome un altro nome, gitta uno sguardo malinconico sul suo passato; e come tutto è sparito! come il tempo è corso rapido!
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno, Cercando or questa ed or quell’altra parte, Non è stata mia vita altro ch’affanno. Mortai bellezza, atti e parole m’hanno Tutta ingombrata l’alma. Vergine sacra ed alma. Non tardar, ch’i’ son forse all’ultim’anno. I df miei, piú correnti che saetta, Fra miserie e peccati Sonsen andati; e sol Morte n’aspetta. |