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222 | saggio critico sul petrarca |
diata d’una storia personale. L’autore ha voluto darle proporzioni epiche, troppo piú che la non porta; e certe esagerazioni, naturali nella lirica, che giudica secondo impressioni personali,
E cerca ’l mar e tutte le sue rive, E sempre un stile ovunqu’ e’ fosse tenne; Sol di lei pensa, o di lei parla, o scrive! Allora in quella parte onde ’l suon venne, Gli occhi languidi volgo; e veggio quella Ch’ambo noi, me sospinse e te ritenne. Riconobbila al volto e alla favella; Che spesso ha giá il mio cor racconsolato. Or grave e saggia, allor onesta e bella. E quand’io fui nel mio piú bello stato. Nell’etá mia piú verde, a te piú cara, Ch’a dir ed a pensar a molti ha dato; Mi fu la vita poco men che amara, A rispetto di quella mansueta E dolce morte ch’a’ mortali è rara: Che ’n tutto quel mio passo er’io piú lieta Che qual d’esilio al dolce albergo riede; Se non che mi stringea sol di te pietá. Deh, Madonna, diss’io, per quella fede Che vi fu, credo, al tempo manifesta, Or piú nel volto di chi tutto vede, Creovvi Amor pensier mai nella testa D’aver pietá del mio lungo martire, Non lasciando vostr’alta impresa onesta? Ch’e’ vostri dolci sdegni e le dolc’ire, Le dolci paci ne’ begli occhi scritte, Tenner molt’anni in dubbio il mio desire. Appena ebb’io queste parole ditte, Ch’i’ vidi lampeggiar quel dolce riso Ch’un Sol fu giá di mie virtuti afflitte. Poi disse sospirando: mai diviso Da te non fu ’1 mio cor, né giammai fia; Ma temprai la tua fiamma col mio viso. Perché, a salvar te e me, null’altra via Era alla nostra giovinetta fama: Né per ferza è però madre men pia. Quante volte diss’io meco: questi ama, Anzi arde: or si convien ch’a ciò provveggia; E mal può provveder chi teme o brama. Quel di fuor miri, e quel dentro non veggia. Questo fu quel che ti rivolse e strinse Spesso, come cavai fren che vaneggia. Piú di mille fiate ira dipinse Il volto mio, ch’Amor ardeva il core; Ma voglia, in me, ragion giammai non vinse. |