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xi. dissoluzione di laura | 223 |
non possono non far ridere un po’ in un quadro epico, come:
La notte che segui l’orribil caso Che spense ’l Sol, anzi ’l ripose in cielo. |
Poi se vinto te vidi dal dolore. Drizzai ’n te gli occhi allor soavemente. Salvando la tua vita e ’l nostro onore. E se fu passion troppo possente, E la fronte e la voce a salutarti Mossi or timorosa ed or dolente. Questi fur teco mie’ ingegni e mie arti; Or benigne accoglienze ed ora sdegni: Tu ’l sai, che n’hai cantato in molte parti. Ch’i’ vidi gli occhi tuoi talor si pregni Di lagrime, ch’io dissi: questi è corso A morte, non l’aitando; i’ veggio i segni. Allor provvidi d’onesto soccorso. Talor ti vidi tali sproni al fianco, Ch’i’ dissi; qui convien piú duro morso. Cosi caldo, vermiglio, freddo e bianco. Or tristo or lieto infin qui t’ho condutto Salvo (ond’io mi rallegro), benché stanco. Ed io: Madonna, assai fora gran frutto Questo d’ogni mia fé, pur ch’io ’1 credessi; Dissi tremando e non col viso asciutto. Di poca fede! or io, se noi sapessi. Se non fosse ben ver, perché ’l direi? Rispose, e ’n vista parve s’accendessi. S’al mondo tu piacesti agli occhi miei. Questo mi taccio; pur quel dolce nodo Mi piacque assai ch’intorno al cor avei; E piacemi ’l bel nome (se ’l ver odo) Che lunge e presso col tuo dir m’acquisti: Né mai ’n tuo amor richiesi altro che modo. Quel mancò solo; e mentre in atti tristi Volei mostrarmi quel ch’io vedea sempre. I’ tuo cor chiuso a tutto ’l mondo apristi. Quinci ’1 mio gelo, ond’ancor ti distempre: Che concordia era tal dell’altre cose, Qual giunge Amor, pur ch’onestate il tempre. Fur quasi eguali in noi fiamme amorose; Almen poi ch’io m’avvidi del tuo foco; Ma l’un l’appalesò, l’altro l’ascose. Tu eri di mercé chiamar giá roco, Quand’io tacea, perché vergogna e tema Facean molto desir parer si poco. Non è minor il duol perch’altri ’l prema. Né maggior per andarsi lamentando; Per finzion non cresce il ver né scema. |