Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggio critico sul Petrarca, 1954 – BEIC 1805656.djvu/248

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acre col quale vennero dettate e per quello che sappiamo dei suoi rapporti col maestro negli ultimi anni, vanno prese con molta cautela, portava questa precisazione: «Io non raccolsi, propriamente, le lezioni. Ma la dimane di ogni conferenza andava da lui, a prima ora: ed egli dettava tutto il discorso della sera precedente». Cosi si ebbe la prima stesura del Saggio; e certamente la dettatura fatta all’Imbriani doveva serbare il fervore che sorprendeva gli ascoltatori e che il D. S. spiegava scherzosamente definendosi «une machine á leçons» (v. lettera ad A. C. de Meis del 3i dicembre i858). È sicura poi un’altra testimonianza dell’Imbriani: che il D. S. rilavorò tutto il manoscritto, riscrivendolo da cima in fondo, di pugno suo, e dalle lettere dello stesso D. S. risulta con quale ritmo egli portò avanti la sua revisione: il 9 marzo annunziava al De Meis di essere alla quarta lezione; il 2i aprile di stare per finire il Saggio, non restandogli che tre lezioni. Le vicende della guerra in Italia lo appassionarono poi al segno che egli provò insofferenza della revisione del Saggio e di tutto il suo lavoro letterario (v. lettera al De Meis del 9 giugno); ma il 26 giugno comunicava all’amico: «Ho terminato alfine questo maledetto Petrarca, dove tutto rivela la svogliatezza e le preoccupazioni, in mezzo alle quali è stato scritto. Nella prossima settimana comincerá la traduzione». Della traduzione non si può dir nulla di preciso; ed è probabile che nemmeno si cominciasse. Invece il manoscritto fu mandato agli amici De Meis e Marvasi, che diedero pareri assai favorevoli, avanzando solo qualche riserva su alcune espressioni che sonavano troppo pedestri. Il D. S., mentre autorizzava gli amici a correggere, difendeva quelle «forme volgari» che aveva usate «con intenzione» per «uscire un po’ da questa maestá e dignitá convenzionale della nostra prosa» (v. lettera a Diomede Marvasi del 3i gennaio i860); e non è da escludere che allora corressero trattative per la stampa in Italia, se giá il i2 marzo ’59 il De Meis aveva proposto di farsi intermediario presso un editore italiano e se in una lettera del i2 ottobre ’59 all’amico l’autore suggeriva una correzione al manoscritto, che, per la sua minuzia, non poteva essere proposta se non in vista di una prossima edizione.

L’Imbriani, nella lettera sopra citata, afferma: «Il manoscritto fu offerto al Lemonnier, che voleva darne cinquecento lire. E ricordo che il Marvasi (a torto!) distolse il D. S. (che avrebbe accettato!) dallo stringere il contratto, chiamando questa ‘una impertinenza’». Qualunque sia stata la ragione per la quale allora non si stampò in