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52 saggio critico sul petrarca


poeta. Sembra che un amore mal ricambiato lo abbia sospinto al monastero; sperava di trovarvi la pace dell’anima, ma indarno;

                                         Poi son ricorso in Cielo al sommo bene,
Per fuggir le dorate aspre quadrella:
Nulla mi giova; ond’io son fuor di spene.
     
Non può rimuovere da sé quell’immagine, sente che ne morrá e ci pensa, e gli è caro il pensarci, e si abbandona a quei pensieri funebri e teneri, che sono il frutto privilegiato della sventura:
                                         Quanto piú mi distrugge il mio pensiero,
Che la durezza altrui produsse al mondo.
Tanto ognor, lasso! in lui piú mi profondo,
E col fuggir della speranza spero.
     Eo parlo meco, e riconosco in vero
Che mancherò sotto si grave pondo:
Ma il mio fermo disio tant’è giocondo,
Ch’eo bramo e seguo la cagion ch’eo pero.
     Ben forse alcun verrá dopo qualch’anno.
Il qual, leggendo i miei sospiri in rima,
Si dolerá della mia dura sorte.
     E chi sa che colei, ch’or non m’estima,
Visto con il mio mal giunto il suo danno,
Non deggia lagrimar della mia morte!
     
Qui cí è un sentimento profondo e vero, espresso con una. semplicitá e facilitá poco credibile in quel tempo. Il sonetto è tirato innanzi col nesso e la sicurezza di una visione immediata, e si può comparare agli eccellenti del Petrarca. Fino allora non erasi sentito ancora un suono si commovente di malinconia, né ci era ancora esempio di tanta proprietá di epiteti e di verbi, e di versi cosí felici e cosí pieni di senso, che stringono in poche parole e lasciano indovinare tutta una storia interiore, come:
                                    E col fuggir della speranza spero...
Ch’io bramo e seguo la cagion ch’eo pero...
Visto con il mio mal giunto il suo danno...