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64 | saggio critico sul petrarca |
Noi pur saremo, e pur troverem gente, Che questo dardo fará star lucente. Ed io ch’ascolto nel parlar divino Consolarsi e dolersi Cosí alti dispersi, L’esilio, che m’è dato, onor mi tegno: E se giudizio o forza di destino Vuol pur che il mondo versi I bianchi fiori in persi; Cader tra’ buoni è pur di lode degno. E se non che degli occhi miei ’l bel segno Per lontananza m’è tolto dal viso, Che m’have in foco miso. Lieve mi conterei ciò che m’è grave. Ma questo foco m’have Giá consumate si Tossa e la polpa, Che morte al petto m’ha posta la chiave; Onde s’io ebbi colpa. Piú lune ha volto il sol, poiché fu spenta; Se colpa muore, purché l’uom si penta. Canzone, a’ panni tuoi non ponga uom mano, Per veder quel che bella donna chiude: Bastin le parti nude; Lo dolce pomo a tutta gente niega. Per cui ciascun man piega. E s’egli avvien che tu mai alcun truovi Amico di virtú, e quel ten priega, Fatti di color nuovi: Poi gli ti mostra; e ’l fior ch’è bel di fuori. Fa desiar negli amorosi cuori. |
La possanza dell’immaginazione ha fatte queste tre donne cosí palpabili e vive, come le greche divinitá; ed il concetto è di una tale limpidezza, che si coglie a primo sguardo. È il solito concetto, su cui tanto erasi lavorato innanzi, che amore non può essere scompagnato da gentilezza; cioè a dire, da virtú. Dirittura, Larghezza, Temperanza, e le altre virtú germane d’Amore, vanno errando proscritte e mendiche, e i dardi