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iv. laura e petrarca 7i


della vita, la sua stella, il faro che gli mostra la sua ultima destinazione. Questa è certo una delle piú gentili concezioni di quel tempo, generata e dallo spiritualismo cristiano e dal culto della donna presso i barbari, e piú tardi nobilitata dalle idee platoniche. È, in sostanza, il pensiero che rompe il guscio del simbolo, si spoglia della ruvida scorza delle scuole, ed incarnandosi in una donna, brilla come l’aurora della poesia.

In Beatrice trovi ancora i vestigi di questa formazione. Ben senti in lei una creatura reale, ma sembra quasi che Dante ne abbia onta, e che si sforzi di fartelo dimenticare, tutto inteso ad allegorizzarla, a trasformarla in un’idea religiosa e filosofica. L’ama piú che come donna, l’ama come la bella immagine di tutto ciò a cui l’uomo crede secondo religione e secondo filosofia; e, in veritá, Beatrice è l’ideale piú comprensivo e piú profondo che abbia prodotto l’arte del Medio evo; è, sotto faccia di donna, qualche cosa di cosí colossale come San Pietro. Ma questa donna, irta di sillogismi e di casismi, è pure la donna sua, amata col caldo e con le illusioni della giovinezza, trasformata a grado a grado secondo che si trasformava l’amante, ma conservando sempre una vita plastica ed appassionata innanzi ad un poeta, la cui fantasia mai non invecchia, e che, con uno strano mescolamento di pedanteria e di poesia, spesso di mezzo a un sillogismo fa scoppiare il fremito delle passioni. Qualche cosa di questa pedanteria, ma insieme con tanta parte di poesia, vedi in Beatrice.

Non si può disconoscere in Laura vestigi d’un tipo convenzionale. Il poeta la concepisce un po’, come si concepiva da tutti la donna: con impressioni presenti e vive si mescolano opinioni preconcette, condizione a cui non si possono sottrarre gl’ingegni piú spontanei. Laura è un esemplare di tutta perfezione, che dalla contemplazione di bellezza terrena tira l’anima alla contemplazione delle cose celesti, è scala al Fattore, i suoi occhi mostrano la via che conduce al cielo, da lei viene virtú e santitá. Questo concetto platonico è il luogo comune, girato e rigirato dal poeta in varie guise. Il che lo dispone talora a sostituire alla bellezza la per-