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74 | saggio critico sul petrarca |
Divina lei, divina la natura. Di rado1 trovi nel Petrarca quello che dicesi bellezza della natura, quel coglierla nella sua vita propria e immediata. La è bella non per sé, ma come eco di Laura, quasi corde che rendano suono tocche da quelle dita:
L’erbetta verde e i fior di color mille, Sparsi sotto quell’elee antiqua e negra, Pregan pur che ’l bel piè li prema o tocchi, E ’l ciel di vaghe e lucide faville S’accende intorno, e ’n vista si rallegra D’esser fatto seren da sí begli occhi. |
La natura alla presenza di bella donna amata perde la vaghezza delle sue qualitá proprie, ed acquista un non so che d’oltrenaturale, un non so che della donna o di noi stessi che comunichiamo a lei, e che in certe epoche chiamiamo poesia della natura, non avvezzi ancora a trovare la sua poesia in lei stessa. Di tal guisa è nel Petrarca, come nel sonetto CXI:
Schietti arboscelli, e verdi frondi acerbe; Amorosette e pallide viole; Ombrose selve, ove percote il Sole, Che vi fa co’ suoi raggi alte e superbe; O soave contrada, o puro fiume, Che bagni ’l suo bel viso e gli occhi chiari, E prendi qualitá dal vivo lume; Quanto v’invidio gli atti onesti e cari! Non fia in voi scoglio ornai che per costume D’arder con la mia fiamma non impari. |
L’essere le viole amorosette e pallide non basta perché le sieno belle: è Laura che le fa belle. E Laura che, come sole, illumina il bosco e lo anima, sí che ei se ne sente insuperbire
- ↑ Dico di rado. Altri credono che ciò sia spesso. É una quistione di misura.