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viii - il «canzoniere» 257


forza di resistenza: si che la tragedia si risolve in una flebile elegia. Il poeta si abbandona facilmente, e prorompe in lacrime e in lamenti. Acuto piú che profondo, non guarda negli abissi del suo male e si contenta descriverne i fenomeni, condensati in immagini e in sentenze rimaste proverbiali. Tenero e impressionabile, capace piú di emozioni che di passioni, non dimora lungamente nel suo dolore, ché vien presto l’alleviamento, lo scoppio delle lacrime e de’ lamenti. Artista piú che poeta, è disposto a consolarsi facilmente, quando l’immaginazione abbia virtú di offrirgli un simulacro di quella realtá di cui sente la privazione:

                                         In tante parti e si bella la veggio,
che, se l’error durasse, altro non cheggio.
     
La famiglia, la patria, la natura, l’amore sono per il poeta, com’era Dante, cose reali, che riempiono la vita e le danno uno scopo. Per il Petrarca sono principalmente materia di rappresentazione: l’immagine per lui vale la cosa. Ma come ci è insieme in lui la coscienza che è l’immagine e non la cosa, la sua soddisfazione non è intera: ci è in fondo un sentimento della propria impotenza, ci è questo: — Non potendo avere la realtá, mi appago del suo simulacro. — Onde nasce un sentimento elegiaco «dolce-amaro»: la malinconia; sentimento di tutte le anime tenere, che non reggono lungamente allo strazio e non osano guardare in viso il loro male, e si creano amabili fantasmi e dolci illusioni. Manca al suo strazio l’elevata coscienza della sua natura e la profonditá del sentimento. Ci è anzi in lui la tendenza a dissimularselo, cercando scampo nella benefica immaginazione. La fisonomia di questo stato del suo spirito è scolpita nella canzone:
                                    Chiare, fresche e dolci acque;      
cielo fosco e funebre, che a poco a poco si rasserena ne’ piú cari diletti dell’immaginazione, insino a che da ultimo divien luce di paradiso:
                                    Costei per fermo nacque in paradiso!      

F. de Sanctis, Storia della letteratura italiana - i.

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