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iii - la lirica di dante | 67 |
Ed avea seco umiltá si verace, che parea che dicesse: — Io son in pace. . . . . . . . . . . . . . . . . E par che dalla sua labbia si mova uno spirto soave pien d’amore, che va dicendo all’anima: — Sospira. |
Questi ultimi tre versi sono la chiusa mirabile di un sonetto molto lodato, dove il poeta vuol descrivere Beatrice e non fa che esprimere impressioni. Beatrice non la vedi mai. Ella è come Dio, nel santuario. Non la vedi, ma senti la sua presenza in quel mondo tutto pieno di lei. Ella piange la morte del padre. Lo sguardo del poeta non è lá. Tu vedi lei nella faccia sfigurata del poeta e nel pianto delle donne che gli sono intorno, che la udirono e non osarono di guardarla:
ché qual l’avesse voluta mirare, saria dinanzi a lei caduta morta. |
... ogni lingua divien tremando muta, e gli occhi non l’ardiscon di guardare. |
Di questa giovinetta, inaccessibile allo sguardo, non descritta, non rappresentata, di cui non hai nessuna parola e nessun atto, non restano che due immagini: del nascere e del morire; l’angeletta scesa di cielo, che torna al cielo bianca nuvoletta. Dante non vede lei morire. La vede in sogno, e giá morta e quando le donne la coprian di un velo. Ma se della morte non ci è l’immagine, ce n’è il vivo sentimento:
... Morte assai dolce ti tegno: tu dèi ornai esser cosa gentile, poiché tu se’ nella mia donna stata, e dèi aver pietate e non disdegno. Vedi che si desideroso veglio d’esser de’ tuoi ch’io ti somiglio in fede. Vieni, ché ’l cor ti chiede. |