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xix - la nuova scienza 223


il suo titolo di gloria è di non essere accademico. Quel «fastidito» ti dá la chiave del suo spirito. La societá non gl’ispira piú collera: ne ha fastidio, si sente fuori e sopra di essa. Si dipinge cosi:


L’autore, si lo conosceste, ... have una fisonomia smarrita: par che sempre sii in contemplazione delle pene dell’inferno:... un che ride sol per far comme fan gli altri. Per il piú lo vedrete fastidito, restio e bizarro.


Il mondo gli parve un gioco vano di apparenze, senza conclusione. E il risultato della sua commedia è «in tutto non esser cosa di sicuro; ma assai di negocio, difetto a bastanza, poco di bello e nulla di buono». Nessuno interesse può destare la scena del mondo a un uomo che nella dedica conchiude cosi:


Il tempo tutto toglie e tutto dá; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo. Con questa filosofia l’animo mi s’aggrandisse, e me si magnifica l’intelletto.


Ma non gli s’ingrandisce il senso poetico, il quale è appunto nel contrario: nel dar valore alle piú piccole rappresentazioni della natura e prenderci interesse. Un uomo simile era destinato a speculare sull’uno e sul medesimo, non certo a fare un’opera d’arte. Non si mescola nel suo mondo, ma ne sta da fuori e lo vede nelle sue generalitá. Ecco in qual modo dipinge l’innamorato:


Vedrete in un amante suspir, lacrime, sbadacchiamenti, tremori, sogni, rizzamenti, e un cuor rostito nel fuoco d’amore; pensamenti, astrazioni, còlere, maninconie, invidie, querele, e men sperar quel che piú si desia.


E continua di questo passo, ammassando tutt’ i luoghi topici della rettorica e tutte le frasi della moda:


«cuor mio», «mio bene», «mia vita», «mia dolce piaga e morte», «dio», «nume», «poggio», «riposo», «speranza»,