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228 storia della letteratura italiana


mette in bocca al pedante aristotelico le opinioni volgari che correvano intorno alla materia. Il pedante è Polinnio, ed è descritto cosi:


Questo è un di quelli che, quando ti arrán fatta una bella costruzione, prodotta una elegante epistolina, scroccata una bella frase da la popina ciceroniana, qua è risuscitato Demostene, qua vegeta Tullio, qua vive Salustio; qua è un Argo che vede ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione... Chiamano all’essamina le orazioni, fanno discussione de le frase, con dire: — Queste sanno di poeta, queste di comico, queste di oratore. Questo è grave, questo è lieve; quello è sublime, quell’altro è «humile dicendi genus». Questa orazione è aspera: sarebbe bene se fusse formata cossi. Questo è uno infante scrittore, poco studioso de la antiquitá, non redolet arpinatem, desipit Lalium. Questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio, Petrarca e altri probati autori... — Con questo trionfa, si contenta di sé, gli piaceno piú eh’ogn’altra cosa i fatti suoi: è un Giove che da l’alta specula remira e considera la vita degli altri uomini, suggetta a tanti errori, calamitadi, miserie, fatiche inutili. Solo lui è felice, lui solo vive vita celeste, quando contempla la sua divinitá nel specchio d’un spicilegio, un dizionario, un Calepino, un lessico, un Cornucopia, un Nizzolio... Se avvien che rida, si chiama Democrito; s’avvien che si dolga, si chiama Eraclito; se disputa, si chiama Crisippo; se discorre, si noma Aristotele; se fa chimere, si appella Platone; se mugge un sermoncello, se intitula Demostene; se construisce Virgilio, lui è il Marone. Qua corregge Achille, approva Enea, riprende Ettore, esclama contra Pirro, si condole di Priamo, arguisce Turno, iscusa Didone, comenda Acate: e infine, mentre «verbum verbo reddit» e infilza salvatiche sinonimie, «nihil divinum a se alienum putat». E, cossi borioso smontando da la sua catedra, come colui c’ha disposti i cieli, regolati i senati, domati eserciti, riformati i mondi, è certo che, se non fusse l’ingiuria del tempo, farrebe con gli effetti quello che fa con l’opinione. O tempora, o mores! Quanti son rari quei che intendono la natura de’ participi, degli adverbi, delle coniunczioni!


Polinnio sarebbe immortale, se fosse in azione cosi vivo e vero come è dipinto qui; ma l’artista è inferiore al critico, né il Polinnio che parla è uguale al Polinnio descritto con cosi felice