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xix - la nuova scienza 237


[La libertade] — fa egli dire a Giove, — quando verrá ad essere ociosa, sará frustratoria e vana, come indarno è rocchio che non vede, e mano che non apprende... Ne l’etá... dell’oro per l’ocio gli uomini non erano piú virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano piú stupidi che molte di queste.


Bruno rigetta quella vita oziosa, che fu detta «aurea» e ch’egli chiama «scempia», fondata sulla passivitá dell’ intelletto e della volontá, e non può parlarne senz’aria di beffa. Il soprannaturale è incalzato ne’ suoi principi e nelle sue conseguenze.

Secondo la morale di Bruno, il lume naturale viene destato nell’anima dall’amore del divino o dal principio formale aderente alla materia, e per il quale la materia è bella. Amare la materia in quanto materia è cosa bestiale e volgare, e Bruno se la prende col Petrarca e i petrarchisti, lodatori di donne per ozio e per pompa d’ingegno, a quel modo che altri «han parlato delle lodi della mosca, del scarafone, de l’asino, de Sileno, de Priapo, scimie de quali son coloro c’ han poetato a’ nostri tempi — dic’egli — delle lodi degli orinali, de la piva, della fava, del Ietto, delle bugie, del disonore, del forno, del martello, della carestia, de la peste». Obbietto dell’amore eroico è il divino o il formale: la bellezza divina «prima si comunica all’anime, e... per quelle... si comunica alli corpi; onde è che l’affetto ben formato ama... la corporal bellezza, per quel che è indice della bellezza del spirito. Anzi quello che n’ innamora del corpo è una certa spiritualitá che veggiamo in esso, la qual si chiama ‘ bellezza’; la qual non consiste nelle dimensioni maggiori o minori, non nelli determinati colori o forme, ma in certa armonia e consonanza de membri e colori». L’amore sveglia nell’anima il lume naturale o la visione intellettiva, la luce intellettuale, e la tiene in istato di contemplazione o di astrazione, si che pare insana e furiosa, come posseduta dallo spirito divino. Questo è non il volgare, ma l’eroico furore, per il quale l’anima si converte come Atteone in quel che cerca: cerca Dio e diviene Dio: e, avendo contratta in sé la divinitá, non è necessario che la cerchi fuori di sé. «Però ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in noi per forza» della visione