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xix - la nuova scienza 251


Dopo dodici anni di tali martíri fa questo triste inventario de’ suoi mali:


                                    Sei e sei anni che ’n pena dispenso
l’afflizion d’ogni senso,
le membra sette volte tormentate,
le bestemmie e le favole de’ sciocchi,
il sol negato agli occhi,
i nervi stratti, Tossa scontinuate,
le polpe lacerate,
i guai dove mi corco,
li ferri, il sangue sparso e ’l timor crudo
e ’l cibo poco e sporco.
     


Fra tanti tormenti scriveva, scriveva sempre, versi e prose.

I tempi si facevano piú scuri. Copernico era uomo piissimo, chiuso ne’ suoi studi matematici: era un matematico, non un filosofo, dicea Bruno, che di quel sistema avea saputo fare un cosi terribile uso col suo ingegno libero e speculativo. Il sistema era presentato come una pura ipotesi e spiegazione de’ fenomeni celesti e naturali, e i filosofi avevano sempre cura di aggiungere: «salva la fede». Cosi il libro di Copernico, dedicato a Paolo terzo, fu tenuto innocuo per ottanta anni. Ma la sua dottrina si diffondeva celeremente, propugnata da Bruno, da Campanella, da Galileo e da Cartesio, che si preparava a farne una dimostrazione matematica. Il libro di Copernico parve allora cosa eretica e fu condannato, essendo cosa piú facile scomunicare che confutare. Cartesio pose a dormire la sua dimostrazione. Il povero Galileo, processato e torturato, dovette confessare che «terra stat et in aeternum stabit», ancorché la sua coscienza rispondesse: — Eppur si muove. — E la sua scrittura sulla mobilitá della terra mandò al granduca con queste parole, ritratto de’ tempi:


Perché io so quanto convenga obbedire e credere alle determinazioni de’ superiori, come quelli che sono scorti da piú alte cognizioni, alle quali la bassezza del mio ingegno per se stesso non arriva, reputo questa presente scrittura che gli mando, come quella che è fondata sulla mobilitá della terra, overo che è uno degli