Pagina:De Sanctis, Francesco – Storia della letteratura italiana, Vol. II, 1912 – BEIC 1807957.djvu/31

Da Wikisource.

xiii - l’«orlando furioso» 25


Qui la superficie è cosí naturalmente piana, che ti par nata a quel modo e che non possa essere altrimenti. Pigliamo ad esempio la rosa:


                               Questa di verde gemma s’incappella;
quella si mostra allo sportel vezzosa;
l’altra, che ’n dolce foco ardea pur ora,
languida cade e il bel pratello infiora.
     


Qui la rosa m’ha aria di una fanciulla civettuola, che prende questa o quell’attitudine per parer vezzosa, L’«incappellarsi», lo «sportello», quell’«ardere in dolce foco», sono immagini appiccatele da immaginazione umana. È la rosa non nella sua naturalezza immediata, ma come pare all’uomo. Ci si vede il lavoro dello spirito, che l’orna e la vezzeggia, la rosa passata attraverso lo spirito e uscitane trasformata. Vedi ora nell’Ariosto, la rosa,


                               che in bel giardin sulla nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avvicina:
l’aura soave e l’alba rugiadosa,
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina:
gioveni vaghi e donne innamorate
amano averne e seni e tempie ornate.
     Ma non si tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
     


Questa è la storia o il romanzo della rosa. Il poeta ha aria non di descrivere, ma di raccontare; e ti pone innanzi la cosa nella sua veritá naturale, si che niente paia oltrepassato, esagerato o trasformato. L’«alba rugiadosa», il «ceppo verde», la «nativa spina», i «gioveni vaghi», le «donne innamorate», i «seni e le tempie», il «gregge e il pastore» sono tutte immagini naturali, distinte, plastiche, obbiettive, prodotte da una immaginazione impersonale, assorbita dallo spettacolo. E guarda alla movenza dell’ottava, con tanta semplicitá che l’ultimo verso par ti caschi per