Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/18

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ronzava nel buio e gli sembrava la voce stessa degli spiriti del passato.

Ed ecco a poco a poco tutti vengono attorno, penetrano per le fessure come i raggi della luna: è donna Maria Cristina, bella e calma come una santa, è don Zame, rosso e violento come il diavolo: sono le quattro figlie che nel viso pallido hanno la serenità della madre e in fondo agli occhi la fiamma del padre: sono i servi, le serve, i parenti, gli amici, tutta la gente che invade la casa ricca dei discendenti dei Baroni della contrada. Ma passa il vento della disgrazia e la gente si disperde, come le nuvolette in cielo attorno alla luna quando soffia la tramontana.

Donna Cristina è morta; il viso pallido delle figlie perde un poco della sua serenità e la fiamma in fondo agli occhi cresce: cresce a misura che don Zame, dopo la morte della moglie, prende sempre più l’aspetto prepotente dei baroni suoi antenati, e come questi tiene chiuse dentro casa come schiave le quattro ragazze in attesa di mariti degni di loro.

E come schiave esse dovevano lavorare, fare il pane, tessere, cucire, cucinare, saper custodire la loro roba: e sopratutto non dovevano sollevar gli occhi davanti agli uomini, nè permettersi di pensare ad uno che non fosse destinato per loro sposo. Ma gli anni passavano e lo sposo non veniva. E più le sue figlie invecchiavano più don Zame pre-