Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/19

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tendeva da loro una costante severità di costumi. Guai se le vedeva affacciate alle finestre verso il vicolo dietro la casa, o se uscivano senza suo permesso. Le schiaffeggiava coprendole d’improperî, e minacciava di morte i giovani che passavano due volte di seguito nel vicolo.

Egli intanto passava le giornate a girovagare per il paese, o seduto sulla panca di pietra davanti alla bottega della sorella del Rettore. Le persone scantonavano nel vederlo, tanto avevan paura della sua lingua. Egli litigava con tutti, ed era talmente invidioso del bene altrui, che quando passava in un bel podere diceva «le liti ti divorino». Ma le liti finivano col divorare le sue terre, e una disgrazia inaudita lo colpì a un tratto come un castigo di Dio per la sua superbia e i suoi pregiudizi. Donna Lia, la terza delle sue figlie, sparì una notte dalla casa paterna e per lungo tempo non si seppe più nulla di lei. Un’ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita così. Don Zame parve impazzire; corse di qua e di là, per tutto il Circondario e lungo la Costa in cerca di Lia; ma nessuno seppe dargliene notizie. Finalmente ella scrisse alle sorelle, dicendo di trovarsi in luogo sicuro e d’esser contenta d’aver rotto la sua catena. Le sorelle però