Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/20

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non perdonarono, non risposero. Don Zame era diventato più tiranno con loro. Vendeva i rimasugli del suo patrimonio, maltrattava il servo, annoiava mezzo mondo con le sue querele, viaggiava sempre con la speranza di rintracciare sua figlia e ricondurla a casa. L’ombra del disonore che gravava su lui e su l’intera famiglia, per la fuga di Lia, gli pesava come una cappa da condannato. Una mattina fu trovato morto nello stradone, sul ponte dopo il paese. Doveva esser morto di sincope, perchè non presentava traccia alcuna di violenza: solo una piccola macchia verde al collo, sotto la nuca.

La gente disse che forse Don Zame aveva litigato con qualcuno e che era stato ammazzato a colpi di bastone: ma col tempo questa voce tacque e predominò la certezza che egli fosse morto di crepacuore per la fuga di sua figlia.

Lia intanto, mentre le sorelle disonorate dalla fuga di lei non trovavano marito, scrisse annunziando il suo matrimonio. Lo sposo era un negoziante di bestiame ch’ella aveva incontrato per caso durante il suo viaggio di fuga: vivevano a Civitavecchia, in discreta agiatezza, dovevano presto avere un figlio.

Le sorelle non le perdonarono questo nuovo errore: il matrimonio con un uomo plebeo incontrato in così tristo modo: e non risposero.