Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/60

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gialle polverose e i piccoli baffi in colore delle scarpe, stava davanti al portone appoggiato a una bicicletta. Appena vide Noemi si tolse il berretto che lasciava l’impronta sui folti capelli dorati, e le sorrise mostrando i bei denti bianchi fra le labbra carnose.

Ella lo riconobbe subito agli occhi, occhi grandi a mandorla, d’un azzurro verdognolo; erano ben gli occhi dei Pintor, ma il suo turbamento aumentò quando lo straniero balzato sugli scalini del portone la strinse forte fra le sue braccia dure.

— Zia Ester! Sono io.... E le zie?

— Sono Noemi.... — ella disse un poco umiliata: ma tosto s’irrigidì. — Non ti aspettavamo. Ester e Ruth sono alla festa....

— C’è una festa? — egli disse tirando su la bicicletta a cui era legata una valigia polverosa. — Ah, sì, ricordo: la festa del Rimedio. Ah, ecco....

Gli sembrava di riconoscere il luogo dov’era. Ecco il portico tante volte ricordato da sua madre: egli vi spinse la bicicletta e cominciò a slegare la valigia battendovi su un fazzoletto per togliere la polvere.

Noemi pensava:

— Bisogna chiamare zia Pottoi, bisogna mandar da Efix.... Come farò, sola? Ah, esse lo sapevano che doveva arrivare, e mi han lasciata sola....

L’abbraccio di quell’uomo sconosciuto, ar-