Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/79

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Sollevò la sottana per rimettersi in tasca la tabacchiera e ripiegò e arrotolò il suo fazzoletto turchino, sbattendosene le cocche sul petto.

— Donna Ester, attenzione. Del resto anche noi abbiamo ballato, quando avevamo ali ai piedi. E adesso che fa, vossignoria?

Donna Ester piangeva di gioia, ma finse di starnutire.

— Sembra pepe il suo tabacco, prete Paskà!


Il più felice di tutti era Efix. Sdraiato su un mucchio d’erba, in una delle muristenes vuote, gli pareva ancora di ballare e di ammirare Giacinto. E gli sorrideva come gli sorridevan le donne. Ecco, la figura del «ragazzo» aveva già preso nella sua vita il miglior posto come nel circolo della danza.

E riandava col pensiero fino al momento in cui era corso alla casa dei suoi padroni per vedere il figlio di Lia: che momento! Era stata così forte la sua gioia che neppure si rammentava che cosa aveva detto, che cosa aveva fatto. Solo rivedeva la figura fredda eppure inquieta di Noemi seguirlo e dirgli come in segreto:

— Andate, su, andate alla festa.... Andate: vi aspettano.

E li aveva mandati via, col viso rischiarato solo all’atto del congedo, su nella cornice del portone che si chiudeva davanti a lei.