Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/110

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tosto troncata dal ritorno di Anania. Lo seguiva un giovinetto in costume di Fonni, magro e pallido e con un visetto da topo.

— Conoscete costui? — chiese lo studente, rivolgendosi al padre. — Neppur io l’ho riconosciuto.

— Chi sei? — chiese il mugnaio, pulendosi le mani con un ciuffo d’erba. Il giovinetto rise timidamente e guardò Anania.

— Eh, Zuanne Atonzu! — gridò lo studente. — Guardate come si è fatto grande!

— Salute! Noi siamo parenti, — esclamò il mugnaio abbracciando il fonnese. — Che tu sii il benvenuto; come sta tua madre?

— Bene.

— Perchè sei venuto?

— Sono testimonio in una causa in Tribunale — Dove hai lasciato il cavallo? Nella locanda? Non ricordavi che noi siamo parenti? Eh che, dunque? Perchè siamo poveri non vuoi ospitare da noi?

— Siccome io son ricco!... — osservò sorridendo il giovinetto.

— Ebbene, andiamo e conduciamo il cavallo a casa nostra, — disse Anania cacciandosi il libro in tasca.

Uscirono assieme; Anania puerilmente felice di rivedere l’umile pastorello in rozzo costume, che gli ricordava tutto un mondo lontano e selvaggio, Zuanne vinto da una grande timidezza davanti al bel signorino pallido e fresco, dalla cravatta fiammeggiante sul colletto lucido.