Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/127

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VII.


S’avanzava l’autunno.

Erano gli ultimi giorni che Anania passava in famiglia, ed egli si sentiva sempre più lieto, come l’uccello che sta per volare, ma una vaga tristezza velava talvolta la sua gioia, un trepido timore dell’ignoto lo inquietava. Mentre si chiedeva come era fatto il mondo verso cui si slanciava già col pensiero, doveva dire addio, lentamente, giorno per giorno, al mondo umile e triste nel quale s’era svolta la sua fanciullezza incolore, non oscurata che dal dolore dell’abbandono di sua madre, — non rischiarata che dal fantastico amore per Margherita. La stagione languida e dolce contribuiva a renderlo sentimentale. L’autunno incipiente velava il cielo d’infinita dolcezza; l’orizzonte si copriva d’un vapore latteo e roseo, che pareva velasse ma lasciasse intravedere un mondo di sogni ineffabili.

Nei crepuscoli verdognoli, rischiarati da nuvole rosse che serpeggiavano, svanivano e ricomparivano continuamente sul cielo glauco, Anania sentiva negli orti il crepitìo e l’odore delle erbe secche bruciate dagli agricoltori, e gli sembrava che qualche cosa dell’anima sua svanisse col fumo di quei fuochi melanconici.