Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/128

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Addio, addio, orti guardanti la valle; addio scroscio lontano del torrente che annunzia il tornar dell’inverno; addio canto del cuculo che annunzia il tornar della primavera; addio grigio e selvaggio Orthobene dagli elci disegnati sulle nuvole come capelli ribelli d’un gigante dormente; addio rosee e cerule montagne lontane; addio focolare tranquillo e ospitale, cameretta odorosa di miele, di frutta e di sogni!

Addio umili creature inconscie della propria sventura, vecchio zio Pera vizioso, Efes e Nanna disgraziati, Rebecca infelice, Maestro Pane stravagante, pazzi, mendicanti, delinquenti, fanciulle belle e inconsapevoli, bambini votati al dolore, gente tutta infelice o spregevole che Anania non ama ma sente attaccata alla sua esistenza come il musco alla pietra, gente tutta che egli abbandona con gioia e con dolore!

E addio dolcezza e luce sopra tanti oscuri dolori, arcobaleno incurvato come cornice di perle sul quadro screpolato di una miseria antica ed eterna, — Margherita, addio!

Il giorno della partenza si avvicinava. Zia Tatàna preparava una infinità di cose, ed altre teneva pronte nella memoria: camicie, calze, dolci, frutta, focacce lucide come avorio, pezze di formaggio, e un pollo e dodici uova col sale, e vino e miele e uva passa, riempivano mano mano bisacce, cestini e scatole.

— Diavolo, — osservava Anania, — pare debba partire un intero esercito.

— Silenzio, figlio mio! Quando sarai ve-