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Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/166

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Ad un tratto si meravigliò d’aver pianto; s’alzò e cercò l’amuleto, ma non lo rimise più al collo: poi si domandò se, senza il suo amore per Margherita, avrebbe sofferto egualmente al pensiero di sua madre: si rispose di sì.

Di tanto in tanto avveniva una specie di vuoto nella sua mente; stanco di tormentarsi, allora egli vagava col pensiero dietro visioni estranee al crudele problema che lo urgeva: la voce del mare gli pareva il muggito di mille tori cozzanti invano contro la scogliera; e per contrapposto pensava ad una foresta scossa dal vento e inargentata dalla luna, e ricordava i boschi dell’Orthobene dove tante volte, mentre egli coglieva viole, il rumore del vento sugli elci gli aveva dato appunto l’illusione del mare. Ma all’improwiso il crudele problema tornava.

— .... E se si fosse emendata? È lo stesso; è lo stesso. Io devo cercarla, trovarla, aiutarla.

Ella mi ha abbandonato per il mio bene, perchè altrimenti io non avrei avuto mai un nome, mai un posto nella società. Rimanendo con lei sarei andato a mendicare; sarei vissuto nella vergogna, forse; forse sarei diventato un ladro, un delinquente.... Sì.... e così come sono non è la stessa cosa? Non sono perduto lo stesso?.... No! no! Non è lo stesso! Così sono figlio delle mie azioni. Però Margherita non vorrà esser mia, perchè.... Ma perchè? ma perchè? Perchè non vorrà esser mia? Sono io forse disonorato? Che colpa ho io? Ella mi vuole; sì, ella mi vuole, appunto perchè sono