Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/205

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do io mi smarrisco tra la folla, in un mare di gente sconosciuta, basta che pensi a te perchè l’anima mia vibri d’amore per tutti gli ignoti esseri che mi circondano, e intorno a me senta vibrare l’anima della moltitudine, come un mare sonoro.

«Quando ricevo le tue lettere, provo una felicità così intensa che mi dà le vertigini; mi pare d’essere giunto alla cima d’una montagna, e che debba appena stender la mano per sfiorare le stelle. È troppo... è troppo... ho quasi paura; paura di precipitare in un abisso, paura di essere incenerito dal contatto degli astri vicini. Che accadrebbe di me se tu mi venissi a mancare? Ah, tu non sai, tu non puoi capire che bestemmia pronunzi quando mi scrivi che sei gelosa delle donne che io posso incontrare qui a Roma. Nessuna donna può essere, può rappresentare per me ciò che tu sei e rappresenti. Sei la mia vita stessa, sei il passato, la patria, la razza, il sogno.»

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«Riprendo la lettera, tutto stordito da una confidenza fattami da zia Varvara pochi minuti or sono. La vecchietta entrò qui con la scusa di portare dell’acqua: era tutta arrabbiata con la padrona e cominciò a parlar male di lei. Mi disse che la Obinu ha un passato tenebroso, che ha abbandonato in Sardegna due suoi figliuoli, e che adesso continua ad avere qualche relazione equivoca....»