Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/213

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— Ma essa non ha bisogno d’aiuto: ha dei soldi, sai! Lasciala in pace, piuttosto, perchè ella non vuole che si ricordi la sua sventura. Non una parola, sai! Mi strangolerebbe se sapesse che io parlo di lei con te....

— E dei suoi figli non si sa niente?

— Ma pare sia una figlia, solo. Credo stia coi parenti di lei. Maria manda spesso denari, in Sardegna.

Ma Anania non abbandonava l’idea che Maria e Olì potessero formare la stessa persona.

— Eppure bisogna sapere, — pensava, camminando distratto per le vie animate da una folla sempre più scarsa. — Se non è lei perchè mi tormento? Ma dove, dove è lei? Che fa? È vicina o lontana? Al fragore della città, a questo rombo che mi sembra la voce di un mostro dalle mille e più mila teste, è mescolato il respiro, il gemito, il riso di lei? E se non qui, dove?

Una notte egli ebbe un po’ di febbre, e nell’incubo gli parve di vedere più volte la figura di Maria curva sul suo guanciale. Era delirio o realtà? Il chiarore della lampada rischiarava la camera. Egli vedeva altre figure fantastiche, ma pensava « ho la febbre » e solo la figura di Maria Obinu gli sembrava reale.

Visioni apocalittiche sorgevano, s’incalzavano, si mescolavano, sparivano, come nuvole mostruose, intorno a lui. Fra le altre cose egli vedeva il nuraghe col gigante ed il San Giorgio del sogno febbrile di zia Varvara; ma la luna