Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/214

Da Wikisource.

— 208 —

si staccava dalla figura del Santo e volava sul cielo; altre due lune, rosse e immense, la seguivano. Era imminente un cataclisma. Una folla enorme si pigiava su una spiaggia di mare in tempesta. Le onde erano cavalli marini che lottavano contro spiriti invisibili. Ad un tratto un urlo salì dal mare. Anania sussultò d’orrore, aprì gli occhi e gli parve di averli azzurri.

— Che stupidaggini! — pensò. — Ho la febbre.

Maria Obinu riapparve nella camera, si avanzò, silenziosa, si curvò sul lettuccio. Allora Anania cominciò a delirare.

— Ti ricordi, mamma, tu mi insegnavi la piccola poesia:

Luna luna
porsedda luna.


Perchè non vuoi dirmi che sei la mia mamma, tu? Dimmelo dunque; tanto io lo so, che tu sei la mia mamma, ma devi dirmelo anche tu. Ricordi l’amuleto? Possibile che tu non ricordi quella mattina, quando scendevamo.... e il fringuello cantava fra i castagni umidi e le nuvole volavano via dietro il monte Gonare? Ma sì che ti ricordi! dimmelo dunque.... non aver paura.... Io ti voglio bene, vivremo assieme. Rispondi.

La donna taceva. Il sofferente fu assalito da un vero spasimo di tenerezza e d’angoscia.

— Madre.... madre, parla; non farmi soffrire oltre: sono stanco ormai. Se tu sapessi che pena! Tu sei Olì, non è vero? È inutile che tu dica il contrario; tu sei Olì. Che cosa hai fatto