Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/281

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teva la testa, minacciava con ambe le mani, s’agitava, pronta a tutto pur d’impedire una scena violenta; ma non sapeva che dire, non poteva parlare. Ah era indiavolato quel bel ragazzo ben vestito: era più terribile d’un pastore Orgolese con la mastrucca, più terribile dei banditi che ella aveva conosciuto sulla montagna. Ella s’era immaginata una scena ben diversa da quella!

— Sì, — egli riprese, abbassando la voce, e fermandosi davanti a Olì, — i vostri viaggi son finiti. Ragioniamo un po’: è inutile piangere, anzi dovete rallegrarvi perchè avete ritrovato un buon figliuolo che vi restituirà bene per male: quindi dovete aspettarvi da lui molto bene. Di qui voi non vi muoverete più, finchè non l’ordinerò io. Capite? capite? — ripetè, sollevando di nuovo la voce, e battendosi la mano sul petto. — Adesso sono io il padrone: non sono più il bimbo di sette anni, che voi avete vilmente ingannato e abbandonato; non sono più l’immondezza che voi avete buttato via; sono un uomo ora, capite? e saprò difendermi, sì, saprò difendermi, saprò, perchè voi finora non avete fatto altro che offendermi, uccidermi giorno per giorno, sempre a tradimento, sempre! sempre! e rovinarmi, capite, rovinarmi sempre più, sempre più, come si rovina una casa, un muro, così, pietra per pietra, così....

Egli faceva atto di buttar giù un muro; si curvava, sudava, quasi oppresso da una vera fatica fisica; ma d’un tratto, improvvisamente,