Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/284

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venti anni prima: volle pulire la chicchera, poi si lavò, e s’asciugò col grembiale bucherellato. Le sue labbra tremavano, qualche singhiozzo le gonfiava ancora il petto, i suoi occhi arrossati e cerchiati, enormi nel viso piccolo, sfuggivano lo sguardo freddo di Anania.

Egli guardava il grembiale bucherellato e pensava: — Bisognerà subito farle una veste: è veramente lurida. Ho ancora sessanta lire delle lezioni date a Nuoro: ho fatto bene a fare quelle ripetizioni.... Ne troverò anche altre. Venderò anche i libri.... Sì, occorre subito vestirla e calzarla.... Avrà anche fame....

Quasi indovinando il suo pensiero, zia Grathia disse ad Olì: — Hai fame? Se hai fame dimmelo pure, subito: non star lì vergognosa; chi si vergogna patisce. Hai fame? No?

— No, — rispose Olì con voce rauca.

Anania si turbò nell’udire quella voce: era ancora la voce d’un tempo, sì, la voce lontana, la voce di lei. Sì, quella donna era lei, era lei, la madre, la sola, la vera, l’unica madre! Era la carne della sua carne, il membro malato, il viscere fracido che lo straziava, ma dal quale non poteva staccarsi senza lasciar la vita.

— Ebbene, allora siedi qui, — disse zia Grathia, avvicinando due sgabelli al focolare, — siedi qui, figlia, e tu siedi qui, gioiello mio. Sedete qui entrambi e discorrete....

Fece sedere Olì, e pretendeva di fare altret-