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Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/323

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risuonare nel lugubre silenzio della casetta. Ma subito si dominò, e spinse l’uscio.

Sul lettuccio, dove egli aveva dormito, vide il cadavere di Olì, delineato dal lenzuolo che lo copriva; per le imposte aperte entrava l’aria fresca della sera, e la fiammella di un cero, che ardeva accanto al letto, pareva volesse volar via, fuggirsene per la notte fragrante.

Anania s’avvicinò subito al letto, e cautamente, quasi temendo di svegliarlo, scoprì il cadavere. Una benda coperta di macchie già secche di sangue nerastro fasciava il collo, passava sotto il mento e sulle orecchie e si annodava tra i folti capelli neri della morta; in questo cerchio tragico il viso di lei si disegnava grigiastro, con la bocca ancora contorta per lo spasimo: attraverso le grandi palpebre socchiuse si scorgeva la linea vitrea degli occhi.

Anania capì subito che Olì s’era recisa la carotide. Colpito sinistramente dalle macchie di sangue, ricoprì il viso della morta, lasciando solo scoperti i capelli che si aggrovigliavano sull’alto del guanciale: i suoi occhi s'erano riempiti di terrore, la sua bocca si contorse alquanto, quasi imitando la contrazione spasmodica della bocca di Olì.

— Dio! Dio! Che orrore, che orrore!! — egli disse, intrecciando disperatamente le dita e scuotendo le mani. — Il sangue! Ha sparso il sangue! Ma come ha fatto, dunque, come ha potuto? Ma come ha fatto? Ma si è dunque tagliata la gola? Che orrore! Che errore fu il