Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/324

Da Wikisource.

— 318 —

mio! Dio! Dio!... No, zia Grathia, non chiudete.... io soffoco. Sono stato io a dirle di uccidersi.... Ah! ah! ah!

Egli singhiozzò, senza lacrime, soffocato da un impeto di rimorso e di orrore.

— Ella è morta disperata, — disse poi, — ed io non le ho detto una sola parola di conforto. Dopo tutto ella era mia madre, ed ha sofferto nel mettermi al mondo. Ed io.... l’ho uccisa... ed io vivo!

Mai, come in quel momento, davanti al terribile mistero della morte, egli aveva sentito tutta la grandezza ed il valore della vita. Vivere! Non bastava soltanto vivere, muoversi, sentire la brezza profumata mormorare nella notte serena, per essere felici? La vita! La cosa più bella e più sublime che una volontà eterna ed infinita abbia potuto creare! — Ed egli viveva; ed egli doveva la vita alla misera creatura che ora gli stava davanti immobile e priva di questo sommo bene. Perchè egli non aveva mai pensato a questo? Ah, egli non aveva mai capito il valore della vita, perchè non aveva mai veduto da vicino l’orrore e il vuoto della morte. Ed ecco ella, ella sola s’era riserbata il compito di rivelargli, col dolore della sua morte, la gioia suprema di vivere: ella, a prezzo della sua propria vita, lo faceva nascere una seconda volta, e questa nuova vita era incommensurabilmente più grande della prima.

Come un velo gli cadde dagli occhi; egli vide tutta la meschinità delle sue passioni, dei suoi