Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/326

Da Wikisource.

— 320 —

pelli della morta, meravigliandosi che fossero così neri ed abbondanti, ed avrebbe voluto ricoprirli col lenzuolo, ma provava una strana paura ad avvicinarsi nuovamente al cadavere.

La vedova tornò presso il letto, ricoprì i capelli, e preso Anania per la mano lo trascinò fuori. Egli si voltò per guardare il tavolinetto appoggiato al muro, ai piedi del letto; poi, quando furono usciti, si mise a sedere su un gradino della scala.

La vedova depose il lume per terra, sedette anch’essa sulla scaletta, e cominciò a narrare una lunga storia, della quale Anania serbò sempre nella memoria questi tristi frammenti:

«Ella diceva sempre, sempre: oh, me ne andrò, vedrete, me ne andrò, anche se egli non vuole. Gli feci abbastanza del male, zia Grathia mia; ora bisogna che lo liberi di me, in modo che egli non senta più il mio nome. Lo abbandonerò una seconda volta, ora che non vorrei lasciarlo più.... lo abbandonerò nuovamente per espiare la colpa del primo abbandono....»

«.... Ella fece arrotare il coltello a serramanico, che teneva sempre con sè....»

«.... Quando ricevemmo il sacchettino entro il fazzoletto colorato, ella diventò livida; poi squarciò un po’ il sacchettino e pianse....»

«.... Sì, ella s’è tagliata la gola. Sì, stamattina alle sei, mentre io ero alla fontana. Quando rientrai la trovai in un lago di sangue: era ancora viva, con gli occhi spalancati orribilmente....»