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la volpe 203


confortare anche il sostituto, il quale veniva da una città che, per quanto piccola, aveva tutte le esigenze, i vizi, gli strozzini, le donne e le case da giuoco delle grandi città.

Zia Lenarda lo trovò che leggeva un libro giallo, giù nella sala da pranzo che s’apriva sul cortile: senza dubbio un libro di medicina, a giudicarne dall’intensità con cui egli, con gli occhi miopi rasente alle pagine, i pugni bianchi ficcati nelle guance scure un po’ molli, le labbra carnose sollevate sui denti sporgenti, pareva se lo divorasse.

La serva dovette chiamarlo due volte per fargli notare la presenza della donna. Egli chiuse d’un colpo il libro, s’alzò e seguì zia Lenarda, molle e distratto. Ella non osava parlare, e lo precedeva come per insegnargli la strada, saltando agile e silenziosa giù di pietra in pietra per le straducole rocciose, battute dalla luna.

Giù, nello sfondo, davanti alla finestra nera della donna, il dottore vedeva le cime argentee dei monti. L’odore puro della valle si mischiava all’odore di ovile che usciva dalle casupole, che emanava dalle figure di pastori accoccolate qua e là sugli scalini delle porte: tutto era triste e grandioso. Ma nel patiu (cortiletto) di ziu Tomas l’odore dell’erba e del verbasco dominava; e davanti al muricciuolo sospeso sul ciglione, con la luna grande e una stella quasi rasente al capo, il dottore vide una figurina di donna così sottile, specialmente dalla vita in giù, così fasciata